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Pillola n. 6 Riforma della Filiazione: Azione di disconoscimento della paternità

I figli legittimi o come vengono chiamati oggi, dopo la Legge 219/2012, figli nati all'interno del matrimonio, godono della presunzione di paternità, così che si presume che siano figli del marito della propria madre (art. 231 c.c.).

Tale presunzione, però, non è assoluta, in quanto ammette che venga provato il contrario a seguito dell'esperimento di un particolare giudizio, vale a dire, l'azione di disconoscimento di paternità.

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Il favor veritatis e il favor legitimitatis.

Il Legislatore ha sempre cercato, con l'azione in questione, di controbilanciare due distinti interessi ugualmente degni di tutela: quello del padre, o meglio, del presunto padre, a far emergere la verità (favor veirtatis), al quale si contrappone quello del figlio a mantenere il proprio status (favor legitimitatis).

Se, infatti, sembra giusto, da una parte, che la verità emerga, dall'altra parte, è necessario tutelare il soggetto debole e, soprattutto incolpevole, il figlio, il quale dall'esperimento dell'azione di disconoscimento può subire danni irreversibili sia a livello affettivo, in quanto viene meno una figura genitoriale, oltre che a livello economico patrimoniale, poiché viene meno anche il sostentamento economico e la possibilità di diventare erede di colui che è stato chiamato papà, fino alla pronuncia giudiziale.

Con il passare del tempo, invero, si è assistita ad un'evoluzione, da prima nel tessuto sociale e, poi, conseguentemente, anche sul piano giurisprudenziale, che ha provocato la modifica dell'azione di disconoscimento e, quindi, il diverso modo di conciliare i due interessi in ballo.

Prima della Legge 219/2012.

Prima dell'entrata in vigore della Legge 219/2012, era possibile esperire l'azione di disconoscimento solo se ricorrevano 3 casi:

1) se i coniugi, nel presumibile tempo in cui era avvenuto il concepimento, non avevano coabitato;

2) se il presunto padre, durante il predetto periodo, era affetto da impotenza a generare;

3) se, durante il predetto periodo, la moglie aveva commesso adulterio o aveva celato la gravidanza e la nascita del bambino.

Questi casi erano tassativi (vale a dire, non era possibile addurre altre giustificazioni, se non quelle indicate dalla legge) e il presunto padre, la moglie o lo stesso figlio, che intendevano esperire l'azione di disconoscimento, dovevano prima provare la sussistenza di una delle 3 ipotesi per poi essere ammessi alla prova biologica (prova ematologica o del DNA), dell'insussistenza del rapporto di filiazione figlio – presunto padre.

In questa modo si cercava di tutelare maggiormente il favor legitimitatis, poiché si cercava di tutelare maggiormente il figlio.

La sentenza n. 266/2006 della Corte Costituzionale.

Ma, come già anticipato, l'evoluzione dei costumi e, soprattutto della scienza, ha influenzato inevitabilmente la giurisprudenza (il modo di interpretare la legge da parte dei giudici), così che la Corte Costituzionale con la pronuncia 266/2006, in un caso di disconoscimento per adulterio, ha sostanzialmente parificato la prova del DNA alla prova del tradimento.

La nuova azione di disconoscimento di paternità.

Il Legislatore del 2012 ha pienamente recepito quanto stabilito dalla Corte Costituzionale tanto da introdurre, con l'art. 243 bis c.c., la libertà della prova dell'insussistenza del rapporto di filiazione, parificando, conseguentemente, non solo la prova biologica a quella dell'adulterio, ma anche a quella di tutte le altre casistiche previste in passato ed attualmente letteralmente scomparse!

Termini di decadenza.

L'azione di disconoscimento è, dunque, esperibile dalla madre, dal presunto padre e dal figlio.

Ognuno deve rispettare un particolare termine oltre il quale l'azione non può essere più esperita:

* la madre ha 6 mesi dalla nascita o da quando ha avuto conoscenza dell'impotenza a generare del marito al tempo del concepimento;

* il padre ha un tempo superiore, esattamente il doppio, 1 anno che decorre:

a) dalla nascita del bambino, se il presunto padre si trovava, in quel momento, nel luogo in cui è nato il figlio;

b) se non si trovava al momento della nascita del figlio nel luogo dovo questi è nato, da quando il padre fa ritorno;

c) da quando ha avuto conoscenza della propria impotenza, dell'adulterio.

Conoscenza e non certezza.

Per entrambi i coniugi, quindi, sussiste il caso della conoscenza della causa che ha provocato l'insussistenza del rapporto di filiazione ,che fa slittare in avanti il termine di decadenza, di un anno (presunto padre) o di sei mesi (madre/moglie), oltre il quale non è possibile più ricorrere in Tribunale.

Ma, sempre per non far prevalere il favor veritatis sul favor legitimitatis, il Legislatore ha preferito accogliere un recente orientamento giurisprudenziale, facendo decorrere il termine decadenziale non dalla certezza dell'insussistenza del rapporto di filiazione, bensì dalla semplice conoscenza dei motivi che l'hanno provocata (Cass. Civ. 13638/2013).

Così come è realmente successo, se il marito, dopo le rivelazioni della moglie con le relative prove dell'adulterio, procede con il test del DNA, per lui il termine decadenziale incomincia a decorrere dal giorno in cui ha avuto conoscenza del tradimento e non dal giorno in cui ha ricevuto i risultati dei test biologici.

Il termine di 5 anni.

Il Legislatore è andato oltre. Non poteva certo rischiare che l'interesse del figlio a mantenere saldo e fermo il nucleo familiare in cui è cresciuto si possa sgretolare, anche a distanza di anni dalla sua nascita e soprattutto che possa subire dei traumi.

Per questo motivo, ha previsto, per i coniugi, l'ulteriore termine di 5 anni dalla nascita del figlio, oltre il quale né il marito e né la moglie possono più esperire l'azione di disconoscimento, anche se hanno appreso, dopo tale data, l'insussistenza del rapporto di filiazione.

L'azione esperibile dal figlio.

Tutte le cautele vengono logicamente meno quando è il figlio, vale a dire il soggetto da tutelare, ad esperire l'azione di disconoscimento.

Il figlio, infatti, a differenza del passato, quando aveva tempo un anno dal compimento del diciottesimo anno di età per far rivolgersi ad un giudice, oggi, con la riforma della filiazione, può farlo in qualsiasi momento, poiché, per lui l'azione di disconoscimento è imprescrittibile e, quindi, non ci sono termini decadenziali.

Il recente intervento normativo, poi, ha anche abbassato a 14 anni l'età dalla quale il figlio può esperire l'azione (prima erano 16 anni), a condizione, però, che venga nominato un curatore speciale.

Avvocato Gennaro Marasciuolo

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