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Divorzio automatico se il coniuge cambia sesso?

Ha fatto molto discutere e, certamente, lo farà anche in seguito, l’ordinanza n. 14329 del 6 giugno scorso, con la quale la Corte di Cassazione ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sulle norme che impongono il divorzio automatico, quando uno dei due coniugi cambia sesso.

Successivamente alla conclusione del procedimento per la rettifica di attribuzione del sesso, esperita da un marito transessuale, l’ufficiale dello stato civile del Comune competente, oltre ad effettuare la prevista rettifica nel relativo registro, ha provveduto, altresì, ad annotare, sul registro dei matrimoni, la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

L’art. 4 della L. 164 del 1982, oggi sostituito dall’art. 31 del D.Lgs. 150 del 2011 ma applicabile al caso concreto, dispone, infatti, che la sentenza di rettifica del sesso produce lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili matrimonio religioso.

Questo effetto “collaterale”, però, non deve essere andato a genio alla coppia o meglio alle due donne, che hanno proposto causa contro il Ministero dell’Interno, ritenendo che lo scioglimento del vincolo matrimoniale doveva essere necessariamente dichiarato da un giudice, a seguito di un procedimento ad hoc e non poteva essere un effetto automatico della pronuncia di rettifica dell’attribuzione del sesso.

Nonostante il primo grado di giudizio avesse dato ragione alle due signore, la Corte di Appello ha ritenuto che l’operato dell’Ufficiale dello stato civile era più che mai conforme al dettato normativo e che la scelta del Legislatore era giustificata dalla circostanza che il matrimonio non può prescindere dall’unione di due persone di sesso differente.

La Suprema Corte, pur considerando legittimo e giustificato il comportamento dell’Ufficiale di Stato civile, ha sollevato dei dubbi in ordine alla legittimità costituzionale delle norme innanzi richiamate, nonché dell’art. 3 della Legge sul divorzio (L. 898 del 1970, così come modificata dalla L. 74 del 1987), poiché, senza richiedere l’instaurazione di un apposito giudizio, dispongono il divorzio automatico, se uno dei coniugi cambia sesso.

L’automatico scioglimento del vincolo matrimoniale, hanno spiegato i giudici con l’ermellino, era stato previsto per tutelare proprio il diritto del soggetto che aveva mutato la propria identità di genere, così che potesse liberamente contrarre (nuovo) matrimonio con un nuovo patner di sesso diverso.

Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 161 del 1985, ha riconosciuto, nella L. 164 del 1982, una maggiore sensibilità del Legislatore sulla materia, tanto da identificare il concetto di identità sessuale non esclusivamente mediante il riferimento agli organi genitali esterni accertati al momento della nascita, ma anche da elementi di carattere psicologico e sociale.

L’automaticità dello scioglimento del vincolo matrimoniale legislativamente previsto, quindi, controbilancia due esigenze di pari dignità:

  1. il diritto del soggetto a rettificare il sesso attribuitogli alla nascita;
  2. l’interesse dello Stato a non modificare i modelli familiari.

In questo quadro si è inserita la modifica alla legge sul divorzio del 1987, che, all’art. 3, n.2, lett. g, dispone lo scioglimento del matrimonio, con il semplice passaggio in giudicato della sentenza di rettifica del sesso.

Ma, se la predetta lett. g) prevede lo scioglimento automatico, perché l’art. 3 presuppone, per tutti i casi previsti (anche per la lett.g)), che venga presentata una domanda giudiziale e, quindi, l’instaurazione di un giudizio apposito?

Secondo la Corte di Cassazione non si tratterebbe di un’incoerenza causata dal Legislatore, bensì dalla facoltà, concessa alle parti, di utilizzare il procedimento divorzile per tutte le questioni conseguenti allo scioglimento del matrimonio, a seguito del mutamento del sesso (es. questioni legate ai figli, quelle di natura patrimoniale fra gli ex coniugi etc., etc.).

Il quadro normativo innanzi descritto, dal quale discende un divorzio “imposto ex lege”, ha fatto sorgere alla Suprema Corte seri dubbi circa la sua compatibilità con il nostro sistema costituzionale, integrato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e quindi con:

  • * il diritto ad autodeterminarsi nelle scelte relative all’identità personale;
  • * il diritto alla conservazione della preesistente dimensione relazionale, quando assume i caratteri della stabilità e continuità;
  • * il diritto di non essere ingiustificatamente discriminati, rispetto a tutte le coppie coniugate, alle quali è riconosciuta la possibilità di scelta sul divorzio;
  • * il diritto dell’altro coniuge di scegliere se continuare la relazione coniugale.

L’eliminazione, definita dalla Suprema Corte, “chirurgica” del matrimonio non sarebbe compatibile con l’esercizio del diritto personalissimo dell’individuo ad esprimere il proprio consenso alla celebrazione del matrimonio e, conseguentemente, con il diritto ad esprimere il consenso contrario, atto a porre termine al vincolo matrimoniale.

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata anche innanzi alla Corte Costituzionale tedesca ed austriaca, le quali hanno ritenuto illegittime norme, che subordinavano il procedimento per la rettifica del sesso, al preventivo scioglimento del matrimonio.

Non resta, dunque, che aspettare quello che deciderà la nostra Corte Costituzionale.

Avv. Gennaro Marasciuolo

Ecco il link diretto all'ordinanza 14329/13 per esteso.

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