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Responsabilità medica: il primario risponde se non trasferisce il paziente

Il medico primario risponde per le deficienze organizzative nella struttura ospedaliera?

Secondo la Corte di Cassazione, SI!

Mentre la giurisprudenza di merito si arrovella sul tipo di responsabilità imputabile ai medici (responsabilità contrattuale o extracontrattuale), la Corte di Cassazione definisce i contorni dei compiti del medico primario e, quindi, i casi in cui questi è chiamato a rispondere nei confronti del paziente (Cass. Civ. n. 22338/2014).

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Il primario o, come andrebbe chiamato oggi, il direttore di struttura sanitaria complessa, svolge un ruolo di grande responsabilità; è un vero e proprio regista il quale, oltre ad adempiere a compiti di carattere amministrativo e burocratico, deve dirigere l'intera organizzazione del reparto affidatogli.

Le norme da tenere in debito conto sono due:

1) l'art. 7 del D.P.R. 128/1969 (tutt'ora in vigore);

2) l'art. 1176 del Codice civile.

La prima elenca, in modo puntuale, tutti i compiti ai quali deve assolvere, che spaziano dal controllo sull'attività e sulla disciplina del personale sanitario, tecnico assegnato alla sua divisione, all'intera responsabilità sui malati; dalla definizione criteri diagnostici e terapeutici, alla responsabilità nella compilazione delle cartelle cliniche.

La seconda, l'art. 1176 c.c., è una norma di carattere generale che riguarda la diligenza che il professionista deve adoperare nell'adempiere alle obbligazioni assunte. Non si tratta, quindi, della semplice diligenza del buon padre di famiglia, ma di una diligenza specifica, di grado elevato rispetto a quella normale.

L'art. 1176 c.c. assume il carattere di una norma generale ed, in quanto tale, copre tutti i casi non sufficientemente disciplinati da norme specifiche, così per esempio se un caso concreto non è previsto dall'art. 7 del D.P.R. 128/69, viene disciplinato e giudicato in base all'art. 1176 c.c., che contiene un obbligo di carattere generale.

Per valutare la diligenza si è soliti paragonare la condotta del professionista con quella di un “professionista diligente” e, quindi, accertare, a parità di condizioni, di quanto la condotta del primo si è discostata da quella del secondo.

Nei casi in cui sussista una disfunzione organizzativa dell'ospedale, il medico primario risponde:

1) se non prova di aver adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dall'art. 7, D.P.R. 128/69 e, quindi, di essersi informato sulle condizioni dei malati, di avere impartito le necessarie istruzioni al personale e di aver predisposto le direttive per eventuali emergenze;

2) se le condizioni del paziente non possono essere adeguatamente gestite nella struttura ospedaliera in cui si trova, non si attiva, in modo diligente come prescritto dall'art. 1176 c.c., per disporne l'immediato trasferimento in altra struttura.

L'interpretazione della Suprema Corte, quindi, parte dalla considerazione che il primario risponda sempre a titolo di responsabilità contrattuale, in modo diretto verso il paziente, con la conseguenza che il maggior onere probatorio graverà sul medico (se l'orientamento non muterà dopo la Legge Balduzzi), dovendo il paziente solo descrivere l'inadempimento del primo.

Avvocato Gennaro Marasciuolo del Foro di Trani

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