Come cacciare di casa il convivente, cosa non bisogna fare!
Quando la coppia non sposata “scoppia”, cosa succede?
Se le condizioni lo permettono, si arriva sempre ad un accordo.
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Si tratta di una scelta fatta da persone dotate di un livello di maturità tale da comprendere che è preferibile interrare l’ascia di guerra, decidendo, in maniera autonoma, chi e quando debba uscire di casa.
E’ sempre auspicabile che i conviventi diano attuazione ad un patto di convivenza, con il quale abbiano già regolamentato l’iter più opportuno per l’allontanamento.
Ma questo presuppone che i conviventi siano stati lungimiranti e abbiano stipulato, quando andavano ancora “d’amore e d’accordo”, un patto di convivenza o, come va di moda dire di recente, un contratto di convivenza (sono la stessa cosa!).
Se, però, non si raggiunge un accordo ben preciso e non è stato siglato un patto a tempo debito, il proprietario dell’immobile o il convivente che ha sottoscritto il contratto di comodato o di locazione, non potrà, da un momento all’altro, cacciare di casa l’altro, o rendere impossibile il suo rientro, ad es. modificando la serratura della porta di casa.
Così facendo, infatti, oltre ad esacerbare ulteriormente gli animi, colui (o colei, non fa alcuna differenza) che ha messo alla porta l’altro, rischia di subire delle gravi conseguenze, poiché, quest’ultimo ha dei validi strumenti giuridici per rientrare in casa.
Tralasciando le conseguenze di carattere penale che un comportamento del genere potrebbe condurre (es. violenza privata, esercizio abusivo delle proprie ragioni, etc.), è oramai pacifico che il convivente cacciato di casa può, con un’azione possessoria, veder soddisfatte le proprie ragioni.
La Corte di Cassazione, con ben due sentenze adottate di recente e a poca distanza l’una, dall’altra, ha chiarito che il convivente, pur non essendo proprietario dell’immobile dove si svolgeva la convivenza, è da qualificarsi come detentore e, in quanto tale, può agire in giudizio mediante l’azione possessoria per far ritorno in casa.
Il ragionamento seguito dalla Suprema Corte parte dal presupposto che fra i conviventi si forma un famiglia di fatto, degna di tutela, in virtù dell’art. 2 della Costituzione. E’, dunque, pacifico che il singolo possa esercitare la libertà di convivere con un’altra persona, per svolgere la propria personalità individuale.
Conseguentemente può godere della casa familiare per soddisfare un interesse proprio, otre che della coppia, diventando a tutti gli effetti detentore della stessa.
Di certo la convivenza è una cosa ben diversa dal matrimonio, ma ciò non vuol dire che il convivente non proprietario possa essere definito “ospite” dell’altro!
Se l’unione spontanea di due persone è caratterizzata da durata, stabilità, esclusività e contribuzione, infatti, il convivente assume i connotati del detentore qualificato, trovando la fonte di tale status nella scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare.
Ma se il convivente è detentore, cosa può e deve fare l’altro, il proprietario di casa?
Secondo la Suprema Corte non può passare alle vie di fatto, ma agire seguendo i canoni della buona fede e della correttezza, concedendo al convivente, un congruo termine per reperire un altro idoneo alloggio.
Avvocato Gennaro Marasciuolo
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